Ognuna delle parti del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ha la facoltà di recesso, fatto salvo il rispetto di un termine di preavviso

Le dimissioni del lavoratore: nuove modalità

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Finora il lavoratore assunto a tempo indeterminato ha potuto liberamente recedere dal vincolo contrattuale rassegnando le proprie dimissioni nel rispetto dei termini di preavviso contrattualmente previsti.

Se il preavviso non è dato nei termini e nei modi stabiliti il lavoratore è tenuto a corrispondere al datore di lavoro un’indennità sostitutiva, equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

L’indennità sostitutiva del preavviso deve essere corrisposta dal datore di lavoro solo se le dimissioni sono rassegnate con effetto immediato per giusta causa, vale a dire per "una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto" (art. 2119 cod. civ.). La giurisprudenza ha ritenuto che integrano gli estremi di una giusta causa di dimissioni il reiterato mancato pagamento di voci retributive dovute al dipendente, la violazione del diritto del lavoratore al rispetto della sua personalità fisica e morale, l’arbitraria modifica da parte del datore di lavoro delle condizioni contrattuali.

Le dimissioni, che costituiscono un diritto potestativo del dipendente e si configurano quale atto unilaterale recettizio, producono il loro effetto non appena sono pervenute a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla sua accettazione (Cassazione n. 19623/03). In quanto atto unilaterale recettizio, le dimissioni, una volta comunicate, sono irrevocabili: possono essere annullate solo con il consenso del datore di lavoro o se la loro revoca perviene al datore di lavoro prima delle dimissioni (Cassazione n. 12677/03).

Le dimissioni sono annullabili quando viene provato che sono state rassegnate dal lavoratore in stato di incapacità naturale o che sono viziate da errore, violenza o dolo. È considerato lecito il comportamento del datore di lavoro che favorisce le dimissioni offrendo un incentivo economico al dipendente che decida di rassegnarle entro un certo termine (Cassazione n. 600/94). Dall’annullamento delle dimissioni per vizio del consenso deriva il ripristino del rapporto di lavoro.

La normativa vigente entra nel merito delle dimissioni volontarie solo per tutelare le lavoratrici in caso di matrimonio, i lavoratori in caso di nascita del bambino e per il mancato rientro in azienda dopo il servizio militare.

L’art. 1 della Legge n. 7/1963, infatti, prevede la nullità delle dimissioni rassegnate dalla lavoratrice, se queste intervengono nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ad un anno dopo la sua celebrazione. La sanzione di nullità viene meno solo se la lavoratrice conferma, entro un mese, le proprie dimissioni alla Direzione provinciale del Lavoro, che deve accertare la reale volontà della dipendente di recedere dal rapporto di lavoro. La norma è diretta ad evitare che il divieto di licenziamento della lavoratrice per causa di matrimonio, specificamente previsto dalla stessa legge n. 7/1963, possa essere aggirato dal datore di lavoro inducendo la dipendente a rassegnare le dimissioni. Il successivo art. 2 della stessa legge precisa che la nullità delle dimissioni, come anche del licenziamento, comporta il diritto della lavoratrice ad ottenere la corresponsione della retribuzione globale di fatto fino al giorno della riassunzione.

Il Decreto legislativo n. 151/2001, che ha approvato il testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, invece, prevede all’art. 55 che anche le dimissioni presentate durante il periodo di gravidanza e sino al primo anno di vita del bambino, acquistano efficacia solo se convalidate dal servizio ispettivo della Direzione provinciale del Lavoro. Lo stesso vincolo è previsto per il lavoratore padre che ha usufruito del congedo di paternità e rassegna le dimissioni durante il primo anno di vita del bambino.

In entrambi i casi il dipendente dimissionario è esonerato dal rispetto del termine di preavviso e beneficia del pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Una particolare tutela è prevista, infine, per il lavoratore che si assenta per assolvere obblighi militari: il rapporto di lavoro rimane sospeso per l’intero periodo di servizio militare prestato, con diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro, ma l’obbligo, terminato il periodo di servizio militare, di mettersi a disposizione del datore di lavoro entro 30 giorni, pena la risoluzione di diritto del rapporto, che opera ex lege indipendentemente da una espressa manifestazione di volontà da parte del dipendente.

Finora, eccetto i casi suddetti, non era richiesta alcuna forma particolare per le dimissioni, ma nella Gazzetta ufficiale n. 260/07 è stata pubblicata la Legge 17 ottobre 2007, n. 188, che contiene le disposizioni relative alle modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, del prestatore d´opera e della prestatrice d´opera e dell’associazione in partecipazione.

In base a tale provvedimento, che entrerà in vigore il prossimo 23 novembre, il lavoratore che vuole recedere dal rapporto di lavoro, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalla durata, dovrà utilizzare, a pena di nullità, un apposito modulo contenente un codice alfanumerico progressivo di identificazione e data di emissione, disponibile presso le Direzioni provinciali del lavoro, gli Uffici comunali e i Centri per l’impiego.

L’obbligo di utilizzare la suddetta modulistica diventerà operativo solo dopo che il Ministero del Lavoro e quello per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, con apposito decreto interministeriale, avranno definito il contenuto del modulo numerato, che avrà una validità di 15 giorni, da utilizzare per il recesso

Tale decreto interministeriale sarà emanato entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame.

Giovanni Scotti

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