La storia. «Scusate zio, perdonatemi. Voi siete di destra, no? Il Presidente del Consiglio non è di sinistra?», chiede Consalvo, il protagonista del film alla zio Duca, diventato deputato, che così gli risponde: «Consalvo mio, ma non ti hanno insegnato proprio niente a te! Destra, sinistra, oggi non significano più niente! Di questi tempi tutto cambia talmente velocemente che non possiamo più stare appresso alle etichette». Agli spettatori del film questi e molti altri dialoghi sembreranno scritti dagli sceneggiatori. Risalgono invece alla penna di Federico De Roberto, autore del romanzo al quale il film è ispirato, a riprova della modernità di quel racconto. Se dovessimo definire in poche parole cos’è il film, prenderemmo in prestito quelle di Antonio Di Grado, attento studioso del romanzo: «l’impietosa autobiografia di una nazione». La famiglia, lo Stato, la Chiesa sono i motori attorno ai quali gira il racconto, uniti in un solo credo: la sopraffazione. E’ la sopraffazione dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri, dei potenti sul popolo a guidare i personaggi, i quali in nome di un distorto senso del dominio calpestano e travolgono tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Ciò che siamo stati e ciò che siamo, i vizi che ci affliggono, la resistenza a ogni cambiamento e, per contro, la vocazione al conformismo, la tempestività a chinare la schiena di fronte ai vincitori... questa la materia di cui è fatta la pellicola, che si snoda impiegando i tratti del dramma e del grottesco.
I Vicerè è un quadro feroce di quello che siamo noi italiani, un affresco che fa venire in mente le tinte forti di Goya. E non è un caso che la famiglia al centro delle trame sia infatti di origine spagnola. Il racconto comincia a metà del ‘800, negli ultimi anni della dominazione borbonica in Sicilia, alla vigilia della nascita dello stato italiano. Le esequie della principessa Teresa sono l’occasione per presentare i personaggi della famiglia Uzeda, discendenti dei Vicerè di Spagna. Lo spettatore è subito introdotto in un mondo di fasto, di splendore, ma anche di prepotenza e di miseria, che appare agli occhi contemporanei familiare ed estraneo al tempo stesso. E’ questo uno dei punti di forza della storia: il mescolarsi del favoloso con il reale in un impasto di profondo fascino. Attraverso gli occhi di un ragazzino, Consalvo, l’ultimo erede degli Uzeda, si svelano i misteri, gli intrighi, le complesse personalità degli appartenenti alla famiglia, tutti dominati da grandi ossessioni e passioni. In lotta l’uno con l’altro, gli Uzeda si combattono per l’eredità della principessa defunta e per i desideri contrastanti di ognuno di loro. Il piccolo Consalvo cresce così in una famiglia in perpetua guerra. E’ confortato nei suoi primi anni dall’amore della madre, condannata a morte prematura, e dall’affetto della sorellina, complice di ogni ventura. Ma si trova in conflitto, sin da bambino, con un padre superstizioso e tirannico, il principe Giacomo, più interessato al patrimonio di famiglia che all’amore per i propri cari, pronto a lasciar morire la moglie e a risposarsi poco dopo con una cugina. La storia di Consalvo avanza in un percorso di formazione emblematico: dopo essere stato esiliato dal padre nel mondo di un monastero benedettino - tra privazioni, corruzione e fasti spagnoleschi - si affaccia a una giovinezza scapestrata da ribelle, simile nello spirito a quella di tanti giovani d’oggi.Il tragitto di Consalvo ha una forte attinenza con il nostro presente. Dal mondo che lo circonda, fatto di compromessi e viltà, Consalvo coglie una profonda lezione di vita e alla fine sceglie di impossessarsi del potere per non lasciarsi sopraffare da quello stesso mondo.Da una nota del regista Roberto Faenza: “Dopo le mie pellicole più recenti, avevo pensato al progetto di una nuova versione aggiornata di Forza Italia, il film la cui censura e la messa al bando ventennale avevano segnato la mia carriera, se così posso dire, cinematografica. Mi accorgo ora di aver realizzato questa mia intenzione portando sullo schermo I Viceré.Il primo quesito che ci si può porre, di fronte a questa avventura cinematografica, è come mai si sia dovuto attendere tanto tempo dalla pubblicazione del romanzo di Federico De Roberto (partenopeo per nascita e catanese di formazione), la cui stampa risale al 1894. Da parecchi anni, ho coltivato il desiderio di portare sullo schermo questa storia. Sapevo dei tentativi di molti altri registi e mi sono chiesto perché questo straordinario romanzo non sia arrivato prima al cinema. Sin dal secolo scorso, si pensò a una trasposizione cinematografica, ma per vari motivi e traversie non avvenne. Il che ha costituito certamente un torto non solo verso De Roberto, ma soprattutto nei confronti del pubblico italiano. Probabilmente ha nociuto a De Roberto l’ostilità delle critiche idealiste di Benedetto Croce (che nel 1939 lo stroncò senza mezzi termini, definendo il suo romanzo, su
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