L’isola; la più vicina all’Africa dell’intero arcipelago delle Canarie, è modellata dal fuoco dei vulcani e dallo scultore Cesar Manrique

Lanzarote (Isole Canarie): cronache ed impressioni di viaggio in un giorno

  In viaggio tra gusto e cultura  

Se non fosse un’isola, potrebbe ben essere un frammento di Luna proiettato sulla terra, una visione da Apocalisse: ma Lanzarote è un’isola magica ed incantata.

Deve il suo nome ad un navigatore franco-genovese, Lanzaroto Malocello, che vi sbarcò per primo nel 1312 e la battezzò col suo nome. Successivamente vi furono spedizioni portoghesi per procurarsi schiavi e merci, ed infine Jean de Bethencourt, un normanno appoggiato dal Papa e dalla corona di Castiglia, la conquistò nel 1402.

Lanzarote è l’isola più vicina all’Africa dell’intero arcipelago delle Canarie (dista solo 125 Km dalla costa marocchina), è una distesa vulcanica senza rilievi notevoli, accarezzati da un vento tiepido che ricorda quello del deserto.

Il punto d’arrivo del traghetto è Playa Blanca, all’estremità sud-occidentale dell’isola. Scesi dalla nave, si imbocca subito la strada principale dell’isola, quella che porta alla capitale Arrecife.

Dopo soli 9 Km - qui le distanze sono sempre irrisorie - abbiamo girato a sinistra verso le Salinas, Los Hervideros e El Golfo.

Superate le Saline de Janubio, improvvisamente la strada diventa una pista ben asfaltata ma incassata tra alte pareti di lava nerissima e si arriva a Los Hervideros: percorrendo un breve circuito a piedi lungo la scogliera si arriva ad una grotta formata dalla lava che ha raggiunto il mare, con l’onda che sbuffa quando vi si incunea.

Proseguendo lungo questa strana strada costiera, sempre circondati da un mare di lava, voltando poi a sinistra si arriva al Lago de los Clicos. Lasciata l’auto in parcheggio, fatti poche passi a piedi ci si ritrova all’interno di un’insenatura fantastica: a sinistra il mare, sotto i piedi una sabbia di lava nerissima, tutt’intorno strapiombi con intagli fantastici realizzati dal vento e dal mare: un incanto!

Passeggiando nell’insenatura si raggiungono le rive di un laghetto dal bellissimo color verde smeraldo. Ripresa la macchina e l’altra direzione si può ammirare il laghetto dall’alto: è la classica posizione dalla quale è sempre fotografato. Da qui si nota con chiarezza che El Golfo non è altro che quel che rimane di un cratere che ha avuto l’avventura di aprirsi a ridosso del mare!

Da El Golfo la strada si inoltra verso l’interno dell’isola sin quasi a Yaiza, per visitare il Parque Nacional de Timanfaya: si percorrono circa 7 Km in un paesaggio che più lunare non si può, in mezzo ad immense colate laviche con colori che oscillano dal nero più cupo al grigio, il tutto costellato da macchie rosso ruggine. Il terreno è assolutamente impraticabile, un paesaggio da film di fantascienza, di una bellezza impressionante; è rimasto tal quale dall’eruzione del 1730, quando trenta crateri sono entrati in eruzione contemporaneamente inghiottendo villaggi e coprendo i campi con la lava e con uno strato di cenere e lapilli.

Pagato il biglietto d’ingresso al parco, si prosegue in auto lungo le pendici del vulcano sino ad un ampio parcheggio per ammirare El Islote de Hilario, famoso perché è un punto della crosta terrestre dove, a soli 10 centimetri di profondità, la temperatura del suolo è di 140 °C ed a 6 metri di profondità è di 400 °C! Alcuni incaricati del parco fanno esperimenti: prendono dei sassolini caldi dal terreno e li consegnano ai presenti; mettono della paglia secca in una cavità appena scavata nel suolo e la paglia brucia; gettano un secchiello d’acqua in un foro e, dopo pochi secondi, sgorga un violento geyser.

Qui, per la prima volta nel corso del giro, si incontra la genialità creativa di un illustre abitante dell’isola: Cesar Manrique Cabrera, scultore, pittore ed architetto poliedrico senza il quale anche quest’isola sarebbe oggi disseminata di cemento, come Gran Canaria e Tenerife. Nell’Islote de Hilario, una costruzione progettata da Manrique e perfettamente inserita nel paesaggio vulcanico, ci sono un Centro Culturale e un ristorante … senza le cucine! E’ stata infatti scavata una grotta ad una profondità dove le temperature della crosta terrestre sono tali da permettere la cottura della maggior parte dei piatti proposti: il ristorante si chiama “El Diablo”, ed a ragione!

Dall’Islote de Hilario inizia la Ruta de Los Volcanes: percorso stradale di 14 chilometri, disegnato da Manrique, che permette di visitare il parco e di avvicinarsi ai punti più interessanti. Se si lascia la propria macchina e si prende un comodissimo pullman, con aria condizionata, si percorre l’intero circuito, fermandosi, di tanto in tanto, per ammirare i punti più interessanti con un emozionante audio sincronizzato con i momenti della visita. L’eruzione è iniziata il primo settembre 1730 ed è terminata ben 6 anni dopo, invadendo oltre un terzo dell’isola! L’eruzione è stata lenta, pertanto non ha provocato vittime tra la popolazione. Il parroco di Yaiza dell’epoca, Andrés Lorenzo Curbelo, ha annotato tutto ed ha lasciato ai posteri la cronaca della più grande eruzione vulcanica di cui si abbia avuto notizia in epoca storica.

Riprendendo la strada principale verso nord, a Mancha Blanca,si incontra la Ermita de Los Dolores, dove si venera la Virgen de Los Volcanes, patrona di Lanzarote.

Usciti dalla zona del parco, si cominciano a vedere le prime piante di viti, vanto di Lanzarote.

I contadini dell’isola, nonostante la catastrofe dell’eruzione, non si sono persi d’animo ed hanno scoperto che la massa di lava trattiene calore ed umidità a pochi centimetri di profondità dalla superficie ed hanno scavato buche nelle quali coltivare orzo, pomodori, mais e soprattutto uva, proteggendo poi le buche dal vento tramite muretti perimetrali di pietra.

Il risultato è un buon raccolto e soprattutto un’eccellente malvasia. L’ingegnosità di questi contadini è celebrata in un monumento che si trova al centro di una rotonda nei pressi di San Bartolomé: il Monumento al Campesino, naturalmente di Manrique.

Da San Bartolomé, percorrendo la strada per Taniche, si può visitare la Fundaciòn Cesar Manrique, istituita nella casa-studio abitata dall’artista. Costruita nel 1968, entro un fiume di lava solidificata, ha la particolarità di utilizzare nel piano più basso cinque bolle d’aria formatesi nella lava come un inusuale living space.

In questa zona prevale la coltivazione estensiva di fichi d’India.

A Taniche, cittadina raffinata ed elegante, abbiamo imboccato la strada per Jameos de Agua, altra perla dell’isola. Dopo una decina di chilometri si trova l’ultima opera che Manrique ha lasciato alla sua Lanzarote: il Jardin de Cactus. Per proseguire poi verso Jameos de Agua, uno spettacolare tubo vulcanico sotterraneo, creatosi per la solidificazione della lava espulsa dal Volcan de la Corona in un periodo tra 3.000 e 4.500 anni fa. Questo tunnel entra e sprofonda in mare; nell’interno non sommerso sono state ricavate delle aree veramente interessanti: un ristorante, un auditorium da 700 posti, una bianca piscina, un interessante museo di vulcanologia.

Se si prosegue verso nord si arriva al Mirador del Rio, non il solito punto panoramico, ma una bellissima costruzione, opera del solito Manrique, inglobata nella roccia a strapiombo sul mare con un panorama mozzafiato sull’isola La Graciosa e le altre isolette circostanti.

Dal Mirador del Rio, che si trova all’estremità nord-orientale dell’isola, attraversando l’interno dell’isola si possono visitare Haría, una graziosissima cittadina tutta bianca in mezzo ad un palmeto (qui è vissuto Manrique l’ultimo anno prima di morire e qui è sepolto), la chiesetta denominata Ermita de Las Nieves, sopra le alte scogliere che dominano la Caleta di Famara e che si rispecchiano nell’oceano - l’immagine indelebile che Manrique non ha mai dimenticato nella sua vita – Teguise. l’antica capitale dell’isola che prende il nome dalla figlia dell’ultimo re indigeno, cittadina sonnolenta di case bianche, addossata ad una collina su cui sorgono le rovine della fortezza di Guanapay, eretta dalla popolazione per difendersi dagli attacchi dei pirati. (La domenica e i giorni festivi si svolge un mercato molto frequentato dagli isolani), l’incredibile zona di vigneti de La Geria, realizzati con la tecnica delle buche circolari nella formazione lavica protette da muretti perimetrali, Maciot, bel paesino di case bianche con una graziosissima chiesetta e una simpatica la piazzetta da cui si ammira il mare e l’isola di Fuerteventura.

Dopo una ripidissima discesa purtroppo si raggiunge Playa Blanca, si prende il traghetto e si lascia un’isola magica.

Gianfranco Danieli

 

L’itinerario può essere seguito su una mappa stradale di Lanzarote, collegandosi al sito:

http://www.lanzaroteisland.com/english/maps/.

 

 

 

César Manrique Cabrera

Nacque il 24 Aprile 1919 ad Arrecife, il capoluogo dell’isola, da una famiglia della media borghesia.Nel 1934 suo padre costruì una casetta per le vacanze vicino all’oceano in località Caleta de Famara, nella zona nord-occidentale dell’isola; questo fatto lasciò un segno indelebile in tutta la sua vita. Egli, infatti, soleva dire: “la mia massima gioia è ricordare l’infanzia felice, i cinque mesi di vacanza estiva trascorsi nella spiaggia della Caleta di Famara, con i suoi 8 chilometri di sabbia candida incorniciata da scogliere alte più di 400 metri che si riflettono sul mare come in uno specchio. Questa immagine si è impressa nella mia anima come qualcosa di straordinaria bellezza che mai dimenticherò in tutta la mia vita”. Iniziò gli studi di Architettura nelle isole Canarie, che però abbandonò dopo soli due anni. Nel 1945 lo troviamo a Madrid, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di San Fernando e consegue il diploma di insegnante di arte e pittore. E’ stato uno dei pionieri dell’arte astratta in Spagna; nel 1953 fonda a Madrid la prima galleria di arte non figurativa del paese. Nel 1964 si trasferì a New York, dove visse nel quartiere del Lower East Side, all’epoca un quartiere di artisti, scrittori, giornalisti e bohemiens. Approfittando delle amicizie di un cugino, psichiatra a New York, poté aprire un proprio studio e presentare le sue opere nella prestigiosa galleria "Catherine Viviano". Durante la sua permanenza a New York ha inizio la sua struggente nostalgia per Lanzarote; “quando sono tornato da New York, sono arrivato con la ferma intenzione di far diventare la mia isola natale uno dei più bei posti del mondo, viste le infinite possibilità che Lanzarote può offrire”. Oggi è impossibile immaginare come sarebbe stata Lanzarote senza Cesar Manrique. Lanzarote è, infatti, la sua più importante opera d’arte; il suo lavoro ed il suo influsso ha marcato indelebilmente l’aspetto esteriore dell’intera isola: i nativi affermano che egli “ha costruito Lanzarote”. Appena arrivato a Lanzarote da New York, iniziò subito la sua opera di persuasione verso gli abitanti dell’isola a rispettare i canoni dell’architettura tradizionale locale. Anzitutto riuscì a convincere gli isolani a demolire tutte le costruzioni realizzate con forme o con materiali non in linea con i canoni dell’architettura tradizionale (ad esempio utilizzando alluminio anziché legno); successivamente convinse le autorità locali a vietare l’uso di cartelloni pubblicitari lungo le strade; infine impose che tutte le costruzioni fossero intonacate a calce ed avessero le imposte colorate di verde o azzurro. Oltre a definire i principali criteri urbanistici dell’isola, Manrique ha realizzato in prima persona opere mirabili visitabili in varie località dell’isola. Il 25 Settembre 1992, Cesar Manrique morì in un incidente d’auto vicino alla Fondazione da lui creata: tragica ironia della sorte per lui che non amava che le auto invadessero la sua isola. (Le informazioni sono tratte dal sito www.cesarmanrique.com, in inglese e spagnolo, dove è possibile trovare anche fotografie delle sue opere) .

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