Donne bellissime, statuarie, coperte da un impasto d’ocra e grasso che le fa splendere al sole. Gli Herero del Kaokoland – gli Himba - hanno mantenuto intatti i costumi e le abitudini degli antenati.

NAMIBIA: incontro con la popolazione Himba

  In viaggio tra gusto e cultura  

In questi giorni Angelina Jolie e Brad Pitt hanno annunciato: nostro figlio nascerà attorno alla metà di Maggio in Namibia. Sentendo questo, l´ambasciatore del Paese negli Stati Uniti, Hopelong Iipinge, ha subito affermato: «La nascita del loro figlio in Namibia potrebbe dare al turismo un incredibile impulso, molto più di quello che sono riusciti a dare i fondi stanziati dal governo in un anno».

Situata lungo la costa sud-occidentale del continente africano, la Namibia, tre volte l’Italia per superficie ma con gli abitanti della sola Milano, è entrata da alcuni anni a far parte delle mete esclusive e “chic” del turismo internazionale: in realtà è più adatta a viaggiatori interessati ad esplorare che a turisti abituati agli agi degli “all inclusive tours”.

I tour operator pubblicizzano nei loro cataloghi, tra l’altro, l’incontro con la popolazione Himba: se avesse luogo nello stesso modo in cui accadde nel 1993 a chi scrive, quest’esperienza resterebbe impressa indelebilmente nella mente dei fortunati. Infatti ho avuto l’insperata fortuna di imbattermi in una delle pochissime guide che conoscevano la lingua Himba, che ci ha condotto all’interno di un territorio accidentato, all’epoca proibitivo, e che ci ha permesso di dialogare con gli indigeni.

E’ facile incrociare qualche Himba più evoluto in un supermercato o ad una stazione di rifornimento di Opuwo, il capoluogo del Kaokoland, la loro regione, situata all’estremo nord del paese al confine con l’Angola, ma non è altrettanto facile parlare con loro nei villaggi sperduti lungo il fiume Kunene!

Nel 1993 la Repubblica Namibiana era agli albori: era stata infatti appena costituita (il 21 Marzo 1990) dopo una guerra durata 25 anni tra i Sudafricani, che amministravano il paese dalla fine della Prima Guerra Mondiale, ed il movimento di liberazione dello Swapo, appoggiato dall’Angola comunista; gli Himba non erano ancora censiti e le piste del Kaokoland erano solo tratteggiate sulle mappe ma non se ne garantiva la percorribilità.

Oggi, negli opuscoli turistici, gli Himba sono presentati come una popolazione primitiva, appena uscita dalla preistoria; in effetti il loro stile di vita porta a questa valutazione, ma una pur minima conoscenza della loro storia ci dice che siamo di fronte ad uno dei gruppi etnici più recenti al mondo: un gruppo che le vicissitudini hanno separato dai loro fratelli Herero e che il territorio aspro del Kaokoland e la lunga guerra di indipendenza combattuta soprattutto lì, al confine con l’Angola, hanno contribuito a tenere isolati dal resto delle popolazioni namibiane.

Alti e muscolosi, il viso ovale, lineamenti raffinati, i pastori Herero, da cui discendono gli Himba, non hanno mai avuto vita facile in Namibia. Secondo la tradizione orale provengono dal Nord, dalla zona del lago Tanganica, ed hanno iniziato a stanziarsi in Namibia nel XVI secolo.

Dopo circa 200 anni trascorsi nel Kaokoland, un folto gruppo ha proseguito la marcia verso sud con i loro armenti raggiungendo la zona centrale dell’attuale Namibia; qui sono successivamente venuti a contatto con l’uomo bianco, incontro che ha modificato per sempre le loro abitudini. Nel 1844 un missionario tedesco protestante giunge in Namibia con la giovane moglie londinese; il gusto tutto vittoriano dell’intraprendente signora si trova di fronte a costumi che oggi non esiteremmo a definire punk.

Le donne Herero sono vestite di cuoio e di metallo, con decine di bracciali di rame che inanellano per intero gli avambracci, portano collane di perle di ferro tra i seni nudi e rigide creste di pelle tra i capelli tinti di rosso. “Bisogna assolutamente vestire queste nudità , e al più presto”; detto fatto, ottima sarta, riesce a lanciare in piena Africa lo stile vittoriano (gonna ampia, cuffia, blusa stretta ed abbottonata fin sotto il mento) che ancora oggi le donne Herero esibiscono con fierezza.

Altri Herero erano invece rimasti tra le rocce del Kaokoland. Erano chiamati Tjimba (formichieri) dalle popolazioni limitrofe: secondo loro erano costretti a stanare insetti per nutrirsi. Spinti dalla disperazione alcuni di questi Tjimba guadarono il fiume Kunene e ripararono in Angola: agli angolani devono essere apparsi come un drappello di mendicanti e li battezzarono con il nome Himba (accattoni) che ancora conservano.

Oggi, vedendo un’imponente matrona Herero a passeggio per Windhoek, moderna capitale, con il suo ampio vestito vittoriano di fine Ottocento, confezionato con grandi quantità di stoffa colorata, con un voluminoso copricapo, magari con l´aggiunta di un paio d’occhiali da sole o di un vistoso orologio da polso, e confrontandola con una snella donna Himba che indossa solo il perizoma e gli ornamenti tradizionali, risulta difficile credere che fino a poco più di un secolo fa appartenevano alla stessa etnia.

Bellissime, statuarie, coperte di un impasto colorato di ocra e grasso che le fa splendere al sole, le donne Himba sono un’attraente curiosità per molti turisti.

Questa consuetudine che hanno sia gli uomini sia le donne di spalmarsi tutto il corpo con un impasto di ocra e grasso cela saggi rimedi naturali: funge da repellente contro i parassiti e le punture degli insetti e protegge il corpo dai raggi solari, riducendo al minimo la disidratazione.

Belli e fieri, sembrano non risparmiare nulla per arricchire il loro guardaroba, e fin dalla tenera età cingono il collo con l´ombwari, una collana di grani metallici infilati nel cuoio. Ho avuto l’avventura di incontrare un “fabbro”, con il laboratorio sotto un’acacia, la cui vita scorreva a realizzare, con l’aiuto solo di una minuscola incudine, questi grani metallici da vergelle di ferro dolce che si procurava una volta l’anno ad Opuwo.

Entrambi i sessi indossano gonnellini di pelle di capra chiamati ombuku, che il gusto femminile adorna con conchiglie.

Sul capo le donne indossano un caratteristico copricapo di pelle di agnello con le corna arrotolate, simbolo di fertilità. Solo le donne adulte acconciano i loro capelli in trecce lunghe fino alle spalle; le ragazze che stanno per varcare la soglia della pubertà ricevono invece in dono dalla madre una parrucca di corda. Dopo il matrimonio la donna va a vivere con la famiglia del marito: come rito di passaggio la sposa indossa un drappo di pelle di pecora che le copre il volto e che è sollevato all’ingresso nella casa dei suoceri. Solo dopo la nascita del primo figlio le ragazze sono considerate adulte e possono adornare il petto con l´ohumba (conchiglia proveniente dalle coste dell´Angola), gioiello prezioso donato dalla madre e che si tramanda per generazioni.

La maturità dell´uomo è invece segnalata da due trecce raccolte in un berretto di tessuto, operazione che inizia a compiere dal giorno delle nozze.

Chi scrive ha visitato un villaggio Himba non lontano dalle rive del Kunene e ne conserva ancora un ricordo vivissimo. Il villaggio Himba non è uno dei posti più gradevoli: polvere impalpabile che avvolge tutto, un’incredibile concentrazione di mosche che purtroppo stazionano soprattutto sugli occhi dei bambini più piccoli, terreno ricoperto da uno spesso strato di sterco di mucca secco che è sollevato al minimo alito di vento; in compenso ci sono gli Himba, uno dei popoli più cordiali, pacifici e sereni che si possano trovare sulla terra: la loro vita, che procede a ritmi lenti, è pastorale nel senso più pieno del termine. Sono rimasti da sempre pastori seminomadi, come lo erano prima delle vicissitudini che li hanno separati dai loro fratelli Herero.

Come si può dimenticare la coppia di anziani Himba che non conoscevano la loro età: “Io ho cento anni ma lei è più vecchia, ne avrà centocinquanta”! Oppure la ragazza che si stava costruendo la capanna per vivere da sola nel villaggio, e che non sapeva se sarebbe riuscita a sposarsi perché nei villaggi vicini non c’erano ragazzi di un’età adeguata a lei; le abbiamo lasciato il telo plastificato con il quale coprivamo il bagaglio di uno dei fuoristrada affinché potesse usarlo come pavimento della nuova capanna: sembrava felice come una Pasqua! E le donne perennemente inginocchiate a pestare mais in un mortaio di pietra! E i cani onnipresenti insieme ai bambini ed ai capretti!

Sono passati tredici anni, una gran voglia di tornarci; e se fosse cambiato tutto?

Gianfranco Danieli

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