Quando annunciavo il mio viaggio in Uzbekistan la prima domanda era “E dov´è?" e quando accennavo a Samarcanda mi sentivo rispondere "ma non è una canzone di Vecchioni?"

Uzbekistan: non solo Samarcanda, ma anche Paese moderno

  In viaggio tra gusto e cultura  

Da tempo volevo visitare Samarcanda, un posto speciale per i racconti delle "Mille e una notte", il deserto e le sue oasi, la steppa, i profumi dell´Oriente, la mitica via della seta, le moschee, i minareti, i tappeti … ma alla fine ho scoperto anche un Paese al passo coi tempi.

L´Uzbekistan, la più importante delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, situata tra i fiumi Amu-Darya e Sir-Darya, è stato la culla di grandissime civiltà, rappresentando una sintesi tra Oriente e Occidente, tra il mondo nomade delle steppe e quello più sedentario, stanziale e colto dei grandi imperi ed un importante crocevia commerciale della Via della seta e di quella delle spezie.

Nel suo territorio si trovano segni e tracce evidenti della cultura islamica per l’influenza araba, sfarzosa e magnifica, della potenza degli eserciti di Alessandro Magno, che l’invase nel IV secolo a.c., di Gengiz-khan nel XIII secolo e di Tamerlano (Temur i Lang, lo zoppo), che lo rese di nuovo fiorente nel XIV secolo, facendo di Samarcanda una splendida capitale islamica. Dopo varie vicissitudini i Russi riuscirono a sottomettere la regione nel 1875, restandovi fino al 1991. Dopo il fallito colpo di stato avvenuto a Mosca d’agosto, Islam Karimov, primo segretario del partito comunista dell’Uzbekistan, proclamò l’indipendenza del suo Paese. L’Uzbekistan è diventata quindi una repubblica indipendente, il partito comunista si è limitato a cambiare il suo nome, il vecchio apparato di controllo è rimasto in funzione e da allora il leader del partito, Karimov, è tuttora saldamente al potere, perché, sebbene la democrazia sia pluripartitica, praticamente non ci sono gruppi di opposizione. Settant´anni di socialismo reale hanno lasciato tracce tuttora evidenti, come, ad esempio, una concezione dell´islam molto secolarizzata, tanto che i mussulmani di qui mangiano maiale e bevono vodka. La lingua ufficiale è l´uzbeko, ma il russo è la lingua della burocrazia e delle università.

Seguendo il programma proposto da Travel Design Studio l’ingresso in Uzbekistan non è avvenuto da Tashkent, la capitale dell’Uzbekistan, ma da Urgench: l’itinerario così predisposto ha permesso di attraversare il Paese da occidente verso oriente, seguendo un percorso che dal passato conduce al presente.

Subito all’aeroporto di Urgench ci si imbatte nella burocrazia del Paese: compilazione di vari moduli che servono per l’ingresso e per la successiva uscita dallo Stato, attesa per il controllo del passaporto, del visto, delle dichiarazioni doganali e dei bagagli. La città non merita una visita per cui è bene raggiungere subito Khiva, posta ai margini del deserto di Karakalpak e, secondo la leggenda, fondata da Sem, figlio di Noè, che scavò in questa zona un pozzo. La città, che da molti è considerata la più bella città dell’Asia centrale, a seguito di un programma di conservazione sovietico varato negli anni ’70 ed ’80, è oggi un vero e proprio museo a cielo aperto di color verde smeraldo, rinchiuso nelle sue mura perimetrali di ocra rosato: la visita include quattro madrassah (la madrassah Mukhammad Amin Khan con il suo Kalta Minor, Islam Khidja, il minareto più grande di Khiva; la madrassah, Kunya Ark con la fortezza interna, gli edifici amministrativi, l’arsenale, le caserme, la moschea; la madrassh Muhammed Rachimhon con il museo; madrassah Islman Khoja), il complesso di Pakhlavon Makhmud con il suo incantevole cortile e la splendida decorazione a mattonelle , la moschea del venerdì con le sue 218 colonne di legno che sostengono il tetto e il palazzo Tash Khovli, casa di pietra, con il suo harem e le decorazioni più sontuose di Khiva.

Durante la visita alla città, che è meglio iniziare dalla Ichon-Qala, la porta occidentale, era in corso la terza edizione dell’Asrlar Sadosi Traditional Culture Festival (8/9 maggio), a cura del Forum of Culture and Arts of Uzbekistan Foundation, per cui Khiva era invasa dai rappresentati delle varie comunità locali con i loro abiti tradizionali. Gli uomini indossano colori scuri, a parte il vivacissimo sash usato dagli anziani per chiudere i lunghi giubbotti imbottiti. Quasi tutti portano il dopy, una papalina nera quadrangolare con ricami bianchi. Le donne, invece, esibiscono vesti molto variopinte dai colori vivacissimi, in genere le gonne sono lunghe e coprono pantaloni dello stesso tessuto. La donna che porta una o due trecce è sposata, mentre colei che ne ha di più è nubile.

Lasciata Khiva, dopo un lungo, ma affascinante viaggio attraverso il suggestivo deserto del Kyzyl Kum, con la strada asfaltata, ma in alcuni punti soffocata dalla sabbia, si arriva a Bukhara, altra famosa città che si trovava sulla via della seta: Bukara si è sviluppata attorno alla bella e romantica Piazzetta Lyabi-Hauz, raccolta attorno ad una vasca del 1620, circondata da alberi di gelso, antichi come la vasca, su cui si affacciano tre monumenti architettonici, tra cui la madrassah di Nodir Devon Begi.

La città più sacra dell’Asia centrale possiede edifici millenari, più di trecento moschee e medresse, ed un centro storico tuttora abitato. I punti di maggiore interesse sono: i tre bazar coperti dei cappellai, dei cambiavalute e dei gioiellieri, il Mausoleo di Samanid (IX-X sec), la Moschea di Bolo Khauz (1712) affacciata sullo stagno, la Fortezza Ark (VI-XIXs), il complesso di Poikalon (XII-XVI secolo) in centro dell’antica Bukhara che include la moschea cattedrale “Masjidi kalon”, la madrasa “Miri Arab” il minareto più alto (46m), la Madrasa di Ulughbek (1417), La Madrasa di Abdul Aziz Khan (1652) ed i Bazar, la Moschea di Makoki Attori caratterizzata dai 4 minareti e simbolo della città, il Mausoleo di Bakhautdin Naqshbandi, uno dei piu importanti santuari del sufismo, la Madrassah Tchor e Sitorai Mohi Hosa ed il palazzo estivo dell’emiro di Bukhara

Bukhara è come una favola scritta su di una pergamena che si srotola riga dopo riga sotto i nostri occhi: percorrendo strade soleggiate e polverose ad ogni passo si intravede la sagoma di una nuova cupola blu o l´arco di un portico con tutti i colori del mondo, Pensate che neanche  Gengis Khan ebbe il coraggio di toccarli!

Prima di arrivare a Samarcanda, bisogna fermarsi a Shakharisab, la città verde, città natale di Tamerlano, il mitico, feroce eroe nazionale del paese, che non ha subito l’influenza russa, con i resti dell’enorme porta di ingresso del palazzo di Ak-Saray (palazzo bianco) di Tamerlano e una sua gigantesca statua e con il Complesso di Dorut Tilovat, che comprende la moschea del Venerdì di Ulughbek, la moschea Kuk-Gumbaz con mausoleo di Shamseddin Kulyal e tomba di Jehangir, cripta di Tamerlano

Lasciata Shakharisab conviene non percorrere la strada normale di pianura che porta a Samarcanda ed aggira le circostanti montagne, ma scegliere quella panoramica di montagna, più breve, che permette di oltrepassare il passo di Takhtakaracha, alto 1788 metri, ed offre la visione di uno splendido paesaggio alpino.

E ... finalmente si arriva alla mitica Samarcanda, “un nome che canta" come scrisse Terzani, ambita preda di conquista , sottomessa ai persiani durante il VI secolo, ad Alessandro Magno, che secondo la leggenda sposò proprio qui Roxana, a Gengis Khan e a Tamerlano, che fece assumere alla città gli splendori che la resero famosa. Situata nell’oasi bagnata dallo Zeravan, Samarcanda offre al visitatore mattoni di intensa colorazione policroma, ceramiche, maioliche formanti arabeschi e merletti, decorazioni e rivestimenti in elaborato e raffinato mosaico, marmo e oro. Molti monumenti non esistono più, ma rimangono molte costruzioni che ne ricordano il glorioso passato.

La città più gloriosa dell’Uzbekistan si sviluppa intorno al Registan (XV-XVII), il complesso delle tre madrasse di Ulugbek, Shir Dar e Talakari, che, seppure rimaneggiate, sono armoniose, maestose ed imponenti, ricoperte di maioliche e mosaici azzurri con armoniosi cortili, ballatoi e cellette. Dal Registan lungo corsi maestosi e fioriti si arriva ad un altro luogo molto suggestivo della città, lo Shar-i-Zindah (XIV-XV), il monumentale viale di tombe con piastrelle colorate che riempiono gli occhi di luce in un crescendo di bellezza, su fino alla cima della collina da cui si domina il viale sottostante. La tomba di Tamerlano è nel mausoleo di Gur Emir in una cripta circondata di leggende intriganti e misteriose; qui c´è il gigantesco astrolabio costruito da Ulügbek, il nipote che preferì l´astronomia alla guerra, la Moschea di Bibi-Khanum (XIV), i Bazar orientali alimentari.

Tempo permettendo, possibilità di sosta al Samarkand Handmade Silk Paper Center, laboratorio artigiano che dal 1.700 ad oggi tramanda l’antica abilità di manifattura della carta.

Una visita particolare merita il mausoleo del profeta Daniele, un edificio lungo e basso sormontato da cinque cupole, che contiene un sarcofago di 18 metri perchè, secondo la leggenda, il corpo del profeta del Vecchio Testamento, portato qui da tamerlano, cresce ogni anno di mezzo pollice ed il sarcofago deve essere continuamente ingrandito.

L’ultima città visitata nel viaggio è Tashkent, la capitale, che ha oltre 2000 anni di storia, ma che fu distrutta da un catastrofico terremoto nel 1966 e ricostruita ex novo per farne una città modello sovietica. Oggi è una città moderna, con tre linee della metropolitana, in cui convivono zone con ampi viali e giardini e grandi e squadrati edifici in cemento in stile sovietico e zone con case basse di mattoni e fango e bazar di stile islamico. Ma altre ristrutturazioni ed ammodernamenti sono già in programma in modo da eliminare ogni segno del passaggio dei russi. La popolazione è cosmopolita, gli uomini e le donne hanno lasciato i costumi tradizionali che si vedono nel resto del Paese e vestono “all’occidentale”.

La capitale sta diventando una città grande e brillante, con grandi viali, grandi parchi, ed anche un enorme mercato pulito e ordinato, ricco di frutta e ortaggi lussureggianti e profumati e dove comincio a familiarizzare con i visi rotondi, gli occhi leggermente a mandorla e la stupefacente dolcezza di questa gente, nata da innumerevoli mescolanze e compenetrazioni.                     

Testo di Giovanni Scotti – Foto di Franca Dell’Arciprete

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