Il provvedimento è stato pubblicato nel Supplemento ordinario n. 243 alla Gazzetta ufficiale 262 del 9 novembre 2010

Legge n. 183/2010: disposizioni per il rapporto di lavoro

  Novità aziendali   

Lo scorso 24 novembre 2010 è entrata in vigore la Legge n. 183 del 4 novembre 2010 recante deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per lo impiego, di incentivi alla occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro. Di immediata applicazione, con la entrata in vigore del provvedimento, sono le disposizioni relative a: clausole generali e certificazione del contratto di lavoro; conciliazione e arbitrato; decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato; modifiche alla disciplina dei permessi per l'assistenza ai portatori di handicap grave; certificazione di malattia; accesso ispettivo, potere di diffida e verbalizzazione unica; modifiche alla disciplina dello orario di lavoro; modifiche al Decreto legislativo n. 276/2003; misure contro il lavoro sommerso; disposizioni in materia di collaborazioni coordinate e continuative. Altre disposizioni, invece, saranno rese attuative da decreti delegati per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi; per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti; in materia di ammortizzatori sociali, servizi per l'impiego, incentivi alla occupazione ed apprendistato.

Di seguito illustriamo alcune prendiamo in esame alcune delle novità relative al rapporto di lavoro. In un altro articolo esamineremo le disposizioni di carattere previdenziale.

Per quanto riguarda le misure contro il lavoro sommerso l’articolo 4 modifica il Decreto legge n. 12/2002, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 73/2002, precisando che la disciplina riguarda solo i datori di lavoro privati, con esclusione, però, dei datori di lavoro domestico, e che la maxi-sanzione amministrativa, compresa tra i 1.500 ed i 12.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, maggiorata di 150 euro per ogni giornata di lavoro effettivo, si applica solamente ai casi di impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto. E’ stata introdotta una diversa sanzione, di misura ridotta, per i datori di lavoro che ritardano la comunicazione.

L’art. 7 interviene sul regime sanzionatorio, contenuto nell’art. 18-bis del Decreto legislativo n. 66/2003, che detta la disciplina sull’orario di lavoro. La disposizione modifica l’ammontare delle sanzioni e definisce i criteri per la determinazione della sanzione da irrogare in caso di violazioni plurime della stessa norma.

Nella sottostante tabella indichiamo i nuovi valori delle sanzioni:

 

 

Limite orario (48 ore) e riposo settimanale (art. 4)

Singola violazione

100-750 €

Più di 5 lavoratori o almeno 3 periodi di riferimento

400-1500 €

Più di 10 lavoratori o almeno 5 periodi di riferimento

1000-5000€

Ferie annuali (Art. 10)

Singola violazione

100-600 €

Più di 5 lavoratori o almeno 2 anni di violazione

400-1500 €

Più di 10 lavoratori o almeno 4 anni di violazione

800-4500€

Riposo giornaliero (Art. 7)

Singola violazione

50-150 €

Più di 5 lavoratori o almeno 3 periodi di 24 ore

300-1000 €

Più di 10 lavoratori o almeno 5 periodi di 24 ore

900-1500€

  Per quanto riguarda la disciplina dei permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità, l’art. 24 precisa che i tre giorni di permesso mensile per assistere una persona con handicap in situazione di gravità non ricoverata a tempo pieno, sono fruibili, anche continuativamente, e coperti da contribuzione figurativa, dal coniuge, dai parenti o dagli affini entro il secondo grado. Ma, se i genitori o il coniuge del portatore di handicap hanno compiuto i 65 anni di età, sono affetti da patologie invalidanti o sono deceduti o sono “mancanti”, sono ammessi alla fruizione del diritto anche i parenti o gli affini di terzo grado. Il diritto al permesso per l’assistenza di un portatore di handicap, che, di norma, spetta ad un solo lavoratore, è riconosciuto ad entrambi i genitori per l’assistenza dello stesso figlio, ma essi potranno fruirne solo alternativamente. Il lavoratore,inoltre, potrà scegliere la sede di lavoro più vicina, non al proprio domicilio, ma a quello della persona da assistere. Se il datore di lavoro o l’Inps accertano la non sussistenza o il venir meno delle condizioni per la fruizione dei permessi, il lavoratore decade dal diritto e può essere sanzionato disciplinarmente. Il diritto ai permessi viene riconosciuto anche ai genitori del bambino portatore di handicap in situazione di gravità dopo il compimento del terzo anno di età.

Secondo quanto previsto dall’art. 25 ai dipendenti di lavoro privati si applicano le disposizioni in materia di rilascio e trasmissione dell’attestazione di malattia vigenti nel pubblico impiego ai sensi dell’art. 55-septies del Decreto legislativo n. 165/2001. In caso di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare, l'assenza viene giustificata solo ed esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale. La certificazione medica per malattia deve essere sempre inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all'Inps e da questo Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, al datore di lavoro interessato. L'inosservanza degli obblighi di trasmissione per via telematica della certificazione medica costituisce illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta l'applicazione della sanzione del licenziamento.

L’articolo 30 del provvedimento in esame prevede che l’interpretazione del giudice delle clausole generali contenute nelle disposizioni di legge in materia di diritto del lavoro deve limitarsi all’accertamento del presupposto di legittimità, può prendere atto delle esigenze e delle scelte tecniche, organizzative e produttive addotte dal datore di lavoro, ma non può effettuare alcun controllo né valutazione sulla loro opportunità o fondatezza. La certificazione riguarda i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro. E’ possibile ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di erronea qualificazione del contratto, vizi del consenso, difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Gli organi di Certificazione (all’art. 76 Decreto legislativo n. 276/2003) possono istituire camere arbitrali per la definizione delle controversie in materia di lavoro; esperire presso le loro sedi il tentativo di conciliazione con le modalità del nuovo art. 410 c.p.c.; certificare rinunzie e transazioni ex art. 2113 c.c. La certificazione, in caso di contratti in corso d’opera, è efficace fin dal momento iniziale della stipula del contratto, se le modalità di attuazione dell’attività lavorativa sono state coerenti con la certificazione stessa.

In marito alla conciliazione ed all’arbitrato l’articolo 31 introduce importanti novità nelle procedure di conciliazione ed arbitrato, sostituendo, integralmente gli articoli 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater del Codice di Procedura Civile. Il tentativo preventivo di conciliazione, prima obbligatorio, è ora facoltativo per chi intende adire il giudice del lavoro. L’obbligo di esperire il tentativo preventivo di conciliazione presso la commissione di certificazione è rimasto solo per il caso di ricorso giurisdizionale contro la certificazione. L’art. 31 disciplina anche compiutamente le modalità ed i tempi della procedura, precisando che la soluzione della controversia può essere anche parziale.

Una delle principali novità del collegato lavoro è la promozione dell’arbitrato, di cui sono previste quattro diverse forme, e che sarà oggetto di approfondimento in un altro articolo.

L’art. 32 modifica l’art. 6 della Legge n. 604/1966 in materia di licenziamento individuale, con l’intento di rendere più certe le posizioni giuridiche soggettive che potrebbero essere oggetto di controversia giudiziaria. E’ introdotto, oltre al già esistente termine di 60 giorni per l’impugnazione (anche stragiudiziale) del licenziamento, un ulteriore termine di 270 giorni entro cui il lavoratore è chiamato a depositare il ricorso presso la cancelleria del tribunale o a comunicare alla controparte la richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato. Quindi, il lavoratore interessato, dovrà necessariamente esercitare l’azione entro 330 giorni dalla data del licenziamento, diversamente, l’impugnazione diviene inefficace ed il licenziamento incontestabile. Il meccanismo del doppio termine di decadenza è esteso anche a tutte le controversie in materia di licenziamento invalido o che presuppone la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto o alla legittimità del termine apposto al contratto, con termine decorrente dalla comunicazione del licenziamento; al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (anche a progetto); al trasferimento del lavoratore ex art. 2103 c.c., con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento. L’art. 32 prevede, inoltre, un limite quantitativo all’indennità spettante al lavoratore in caso di conversione del contratto a tempo determinato. Il giudice dovrà fissarla in una misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Con l’entrata in vigore della norma non trova più applicazione l’orientamento giurisprudenziale che riconosceva al lavoratore, in caso di accoglimento della domanda, il diritto a percepire tutte le retribuzioni tra il giorno della scadenza del termine invalido e la data dell’effettivo ripristino del rapporto.

L’art. 33 riscrive l’art. 13 del Decreto legislativo n. 124/2004, relativo all’accesso ispettivo, potere di diffida e verbalizzazione unica, e disciplina le modalità ed i tempi della procedura di svolgimento dell’attività ispettiva in materia di previdenza sociale e di lavoro. Il procedimento prevede due distinte fasi dell’attività ispettiva, contrassegnate, entrambe, dalla redazione di uno specifico verbale. La prima fase, caratterizzata dalle attività compiute dal personale ispettivo per accertare l’eventuale presenza di elementi di fatto o comunque aventi carattere istruttorio da cui è possibile rilevare violazioni sanzionabili, si conclude con il verbale di primo accesso ispettivo, puramente accertativo, per il quale sono indicati i contenuti necessari. Alla contestazione delle eventuali violazioni amministrative compiute dal datore di lavoro si procede, invece, il verbale di accertamento e notificazione, che ha anch’esso contenuto vincolato e deve contenere gli esiti dettagliati dell’accertamento, con indicazione puntuale delle fonti di prova degli illeciti rilevati. La previsione del carattere necessariamente unitario del verbale di accertamento e notificazione impedisce che possa ancora attuarsi l’attuale prassi di effettuare una pluralità di contestazioni a fronte di un’unica attività di accertamento. L’art. 33 precisa, inoltre, che la diffida è parte integrante del verbale di accertamento e notificazione e che il personale ispettivo deve diffidare non solo il trasgressore ma anche l’eventuale obbligato in solido. Sempre nell’ottica della procedimentalizzazione sono previsti tempi certi per la regolarizzazione delle inosservanze (30 giorni dalla notificazione del verbale di accertamento e notificazione) e per il pagamento della relativa sanzione ridotta (15 giorni dalla scadenza del termine per la regolarizzazione).

Giovanni Scotti

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