Corn Island di Giorgi Ovashvili

01/09/2015


L’isola del granturco, cui il film è intitolato, è una delle piccole isolette che si formano ogni primavera lungo il corso del fiume Enguri, fiume nella Georgia dell'Ovest che segna il confine tra due paesi rivali: la Georgia e l'Abkhazia (quest’ultima in effetti è una regione della Georgia, ma da tempo separatasi da essa sotto il controllo di milizie filorusse).

Da quasi vent'anni tra le due fazioni c’è uno stato di guerra latente, fatta non di grandi scontri armati ma di scaramucce isolate, con imbarcazioni di entrambe le parti che pattugliano il fiume per reprimere tentativi di sconfinamento dei nemici.

Nel mezzo di questo scenario di guerra sorgono le effimere isolette che ogni anno si formano e si disfano a seconda delle stagioni e dei capricci degli elementi. Trovandosi nel mezzo del fiume, quindi tra la Georgia e l'Abkhazia, le isole sono “terra di nessuno” e per la loro esiguità e piattezza non hanno alcuna rilevanza militare.

Invece, essendo formate da detriti portati giù dalle montagne del Caucaso, le isole sono costituite interamente da terreno fertile, che da generazioni i contadini locali colonizzano nella bella stagione poiché sono perfette per la coltivazione del mais.

Tutto il film si svolge in una di queste isolette, mostrandoci sullo sfondo di bei paesaggi naturali e con dialoghi ridotti veramente all’osso la dura vita di un vecchio contadino e di sua nipote adolescente che si installano in primavera su questa terra di nessuno, per coltivarvi il necessario per accumulare le povere provviste che consentiranno loro di sopravvivere al prossimo inverno.

Ad eccezione delle poche scene di azione legate all'arrivo una notte di un militare ferito, che per qualche giorno turba il delicato equilibrio della coppia, e della potente scena finale in cui l’arrivo delle piogge autunnali travolge l’isoletta, mettendo fine ad un altro degli incessanti cicli stagionali di vita e di morte sul fiume, il film si svolge lento ma mai monotono.

Assistiamo alle fatiche, incredibili per noi cittadini abituati a trovare tutto pronto all’Ikea, del vecchio contadino che costruisce con le sue mani la baracca sull’isoletta, ben sapendo che non durerà che una stagione e che dovrà ripetere la stessa fatica tutti gli anni finchè vivrà (non molti, come scopriamo nel finale).

Assistiamo alla routine della nipote che deve dividersi tra la frequentazione di una scuola lontana, da raggiungere ogni volta con una lunga remata nella sua barchetta, e la cura del campo di mais con il nonno, assolutamente ignara di telefonini, Facebook e Mc Donalds, con solo una vecchia bambola di pezza ad accompagnarla tra l’infanzia e i primi turbamenti adolescenziali.

In un certo senso l'isola è una metafora della vita rappresentando la nascita, la crescita, l'amore, la lotta, il decadimento ed, infine, la morte. Si può quindi dire che l’isola è davvero il personaggio principale, più ancora del vecchio Abkhazo e della sua nipote, meritandosi l’intitolazione di un film che potremmo accostare all’Albero degli zoccoli di Olmi, per la sua rappresentazione realistica e poetica della dura vita dei contadini.

Il film, diretto da Giorgi Ovashvili, è interpretato da Ilyas Salman, Mariam Buturishvili e Gyártási idõ. È in sala dal 20 agosto.

Ugo Dell’Arciprete