FOCUS ON LINE - RIVISTA N° 8, 20 settembre 2017

Salute, medicina

Sorveglianza attiva per il tumore della prostata: sì per un paziente su tre
Presentato uno studio, appena pubblicato sulla rivista scientifica “Tumori Journal†a firma di un gruppo di specialisti dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano

Lo studio, in corso da 11 anni e condotto da un team di specialisti del Programma Prostata e delle Divisioni di Urologia, Radioterapia Oncologica, Radiologia, Anatomia Patologica, Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e del Dipartimento di Oncologia e Onco-Ematologia dell’Università degli Studi di Milano, conferma la validità e la sicurezza della sorveglianza attiva nell’evitare i trattamenti curativi nei pazienti selezionati con diagnosi di cancro alla prostata non aggressivo.

Un ulteriore fiore all’occhiello per il nostro Istituto, che sottolinea, ancora una volta, ciò che rappresenta l’INT - precisa Enzo Lucchini, Presidente Istituto Nazionale Tumori di Milano - Un importante Centro di riferimento nazionale ed internazionale per una ricerca di valore e il trasferimento in tempi rapidi delle scoperte dal laboratorio di ricerca al letto del paziente. Non è poco, perché significa offrire maggiori probabilità di successo delle terapie e una migliore qualità di vita.

In totale sono stati arruolati e seguiti 818 pazienti con tumore della prostata ad andamento indolente, che sono stati sottoposti a monitoraggio continuativo con l'obiettivo principale di ridurre o differire i trattamenti curativi.

Si tratta di uno dei più ampi studi condotto da un singolo istituto a livello europeo, comparabile con le più importanti coorti nord americane - afferma Riccardo Valdagni, Direttore della Radioterapia Oncologica 1 e del Programma Prostata Istituto Nazionale Tumori di Milano, Professore Associato del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano. - È in sostanza la più grande casistica italiana di pazienti con tumore della prostata a basso rischio attraverso la quale abbiamo potuto identificare un approccio alla malattia molto diverso rispetto al passato. Il dato estremamente positivo emerso dallo studio - commenta il professor Valdagni - è che a distanza di cinque anni, il 50 percento dei pazienti è ancora nel programma di sorveglianza attiva. In più, non si sono verificati decessi a causa del carcinoma prostatico e neppure metastasi. Questo significa che la metà dei pazienti arruolati, a 5 anni dalla diagnosi, ha potuto evitare gli effetti indesiderati di un trattamento curativo non necessario e quindi inappropriato.

Secondo i dati 2016 AIOM/AIRTUM, il tumore alla prostata è il più frequente tra gli uomini a partire dai 50 anni, con 36mila nuove diagnosi ogni anno. Di questi, almeno il 30% potrebbe avere una forma con caratteristiche tali da “entrare” in un Programma di Sorveglianza Attiva.

Lo studio è nato da una necessità nota da tempo, che riguarda non solo il tumore della prostata: ridurre l’overtreatment, vale a dire l’eccesso di trattamenti radicali, il più delle volte gravati da rilevanti effetti collaterali - chiarisce Giovanni Apolone, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano - Nessuno mette in dubbio la validità delle strategie terapeutiche disponibili, questo va precisato. Ma nel caso dei tumori indolenti potrebbero essere evitate per tutta la vita oppure posticipate seguendo il paziente in un programma di sorveglianza attiva.

I trattamenti attualmente utilizzati per il tumore iniziale della prostata sono sostanzialmente l’intervento chirurgico o la radioterapia, che come ben noto possono però influenzare negativamente la qualità di vita del paziente. Questo studio conferma la fattibilità e la sicurezza della sorveglianza attiva che si configura come una delle strategie di cura a disposizione.

L’INT è stato a tutti gli effetti il primo Istituto oncologico in Italia a offrire ai propri pazienti la possibilità di entrare in un programma di sorveglianza, che è diventato ormai pratica clinica - sottolinea il professor Valdagni - Presuppone però che il paziente sia seguito all’interno di protocolli di riferimento precisi e nell’ambito di un percorso sistematico e definito.

Per l’esperienza maturata, l’INT svolge ricerche indipendenti, no profit, non sponsorizzate o non sponsorizzabili - aggiunge Luigi Cajazzo, Direttore Generale Istituto Nazionale Tumori di Milano - confermando il ruolo del pubblico per tali ricerche “etiche».

Tutti i pazienti vengono sottoposti annualmente a due controlli clinici con palpazione della ghiandola prostatica e a quattro analisi del PSA. Al termine del primo anno dopo l’entrata e periodicamente durante il programma di sorveglianza attiva, è necessario anche ripetere la biopsia.

Naturalmente - dice il professor Valdagni - la sicurezza della sorveglianza attiva è garantita dalla presenza di un buon team multidisciplinare che si occupa del paziente sia dal punto di vista clinico, sia psicologico quando necessario.

A dimostrazione del peso di un’équipe composta da più voci, c’è anche il dato relativo a chi ha cambiato strada e ha deciso di non aderire più allo studio.

È stata, infatti, registrata l’uscita a causa di uno stato di ansia solo del 1,1 percento dei partecipanti.

I due attori principali del team sono l’urologo e l’oncologo radioterapista, ai quali si aggiunge lo psicologo che in caso di bisogno supporta il paziente nella scelta tra le opzioni terapeutiche e la sorveglianza attiva. - afferma il professor Valdagni - Solo così il paziente può ricevere un’informazione trasparente, come indicato dalle linee guida.

E se possiedono i criteri di un tumore indolente, i maggiori beneficiari potrebbero essere proprio i pazienti giovani, under 60, la cui qualità di vita può essere più a lungo compromessa dagli effetti collaterali dei trattamenti e che hanno più probabilità di rimanere nel tempo in sorveglianza attiva. Quando mi è stata proposta la sorveglianza attiva non ho avuto dubbi, ho accettato e non ho mai messo in discussione la mia scelta, nonostante il parere contrario di alcuni amici cari - racconta Vincenzo, libero professionista - Ho 55 anni, mi sono detto, il mio tumore ha le caratteristiche “giuste”, perché dovrei scegliere una soluzione più aggressiva? Sono entrato nel programma a marzo scorso e il periodo peggiore è stato quello dell’attesa, il tumore era il mio chiodo fisso e avevo paura che di colpo cominciasse a crescere. Ora non ci penso più, ho ripreso la mia vita di sempre, lavoro compreso, e il fatto di essere sottoposto a controlli costanti mi fa stare tranquillo.