Dal 12 febbraio al 6 aprile 2008 le opere esposte raccontano l’iter creativo di una delle personalità più importanti della pittura svizzera del Novecento

Edmondo Dobrzanski al Castello di Milano

  Cultura e Spettacoli  

L’esposizione, curata da Piero Del Giudice e prodotta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano in collaborazione con il Dicastero Cultura della Città di Locarno. racconta, in modo esaustivo, l’intero arco del lavoro di Dobrzanski (Zurigo 1914 – Lugano 1997), attraverso 250 opere esposte nelle Sale Viscontee. Edmondo Dobrzanski, che con Wiemken, Varlin e Giacometti è tra le grandi personalità della pittura svizzera ed europea nel Novecento, rompe la tradizione di famiglia - dinastia di fotografi - e passa alla pittura, formandosi, dal ’36 al ’42, a Brera, allievo di Aldo Carpi, con i compagni Cassinari, Magnani e Morlotti, e poi a Zurigo. Nella città svizzera, dove vive dal ’42 al ’50, incontra gli artisti e le correnti artistiche della rivolta e della consapevolezza, in fuga dalla guerra e dal terrore nazifascista.

Questo maestro svizzero di remote origini è, prima di tutto, pittore di storia ed impegno sociale, di formazione e radice espressionista. Nella autobiografia, inclusa nel catalogo e per la prima volta pubblicata in Italia, Dobrzanski indica i suoi maestri: Sironi delle periferie industriali, Morandi antiretorico e intimista, gli espressionisti tedeschi dell’arte “degenerata”, prima di tutto Beckman e Dix. E di sé dice “ … sono nato nel 1914 a battesimo dei cannoni della prima guerra mondiale, ho attraversato la seconda guerra mondiale, i campi di sterminio, il genocidio atomico. Il mio secolo si chiude con le guerre etniche e di religione …” Predilige le materie scure: il nero, il blu di Prussia le tonalità del grigio. Dipinge bunker, macchine e architetture belliche, allegorie della fine, ma anche nature morte e paesaggi. Un classico. Sempre coerente alla sua formazione di base fondata su una figurazione espressionista, tuttavia, adotta le dense materie dell’informale, il linguaggio internazione che da Pollock a De Staël investe e caratterizza l’esperienza pittorica della sua generazione. È attivo sino agli ultimi mesi della sua vita.

L´opera dipinta di Dobrzanski è cresciuta nel segno della diversità del contesto culturale, per cui il pittore combina l´argomento espressionista al linguaggio informale. La sua immagine d´impianto sironiano, più che dal racconto naturale di Borlotti, è interessata dall´intensità delle figure di Varlin. Scorrendo le opere in esposizione si coglie che Dobrzanski è pittore della condizione umana, spesso tradotta nella sua marginalità difficile in immagini forti e scabre. Sul finire degli anni sessanta, Dobrzanski sposta la materia della sua pittura dal corpo dalle grandi figure terrose e dal paesaggio atlantico con rovine alla pittura della macchina. Come Dürrenmatt si interroga sulla funzione del pensiero scientifico tradotto con inquietudine polemica, in pagine nere di tensione drammatica, mai d´illustrazione politica.

Logo e simbolo della mostra milanese è il grande quadro (metri 3x6) intitolato Vajont, dipinto da Dobrzanski subito dopo il disastro colposo e le migliaia di morti del 9 ottobre 1963. Il catalogo, denso e voluminoso, è edito da Lubrina editore (356 pagine; Euro 40 in mostra).

Informazioni sulla mostra: EDMONDO DOBRZANSKI - Milano, Castello Sforzesco, Sale Viscontee - 12 febbraio / 6 aprile 2008 - Orari: lunedì 14.30 - 19.30; martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 9.30 - 19.30; giovedì 9.30 - 22.30 - informazioni: 02/76009085 - ingresso libero

Giovanni Scotti

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